Step.14 La macchina fotografica e lo standard della rappresentazione oggettiva

Il XIX secolo può vantare alcune delle invenzioni che più hanno rivoluzionato la società, l'elettricità e il motore a scoppio sono solo gli esempi più banali di questo fiorente secolo, e tra le tante ho voluto proporvi la fotografia. Questa nuova tecnica rappresentativa è sicuramente stata la scintilla che ha poi divampato mettendo man mano sempre più in crisi il settore della produzione artistica. Dopo secoli di ricerca della realtà nei quadri, questa nuova macchina faceva in pochissimo tempo quel che prima richiedeva settimane o mesi e con un'oggettività che non ha rivali. Cosa si è perso? La visione dell'artista, ora non c'erano modi di comandare la rappresentazione, essa scaturiva da sola ed indipendente stampata su carta. Inoltre fu un passaggio che avvicinò i ceti sociali, non più limitando alle famiglie ricche la possibilità di avere un quadro/foto di famiglia, ma estendendolo al popolo.

La dagherrotipia

Giuseppe Immersi Photography: Il dagherrotipo
La dagherrotipia fu il primo procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini, venne creata da Louis Jacques Mandé Daguerre  basatosi su un'idea di Joseph Nicéphore Niépce.
La macchina era composta da una scatola di legno, una fessura per la lastra di rame sul retro e frontalmente un obiettivo fisso, in vetro e ottone. Il dagherrotipo si otteneva utilizzando una lastra di rame su cui era stato applicato elettroliticamente uno strato d'argento, quest'ultimo sensibilizzato alla luce con vapori di iodio. La lastra doveva essere esposta entro un'ora e per un periodo variabile tra i 10 e i 15 minuti.Successivamente si sviluppava mediante vapori di mercurio a circa 60 °C per rendere biancastre le zone precedentemente esposte alla luce. 
Il difetto maggiore era che l'immagine non era riproducibile e doveva essere osservata sotto un angolo particolare per riflettere la luce in modo opportuno. Inoltre, a causa della fragilità della lastra, il dagherrotipo veniva racchiuso sotto vetro, all'interno di un cofanetto impreziosito da eleganti intarsi in ottone, pelle e velluto, volti anche a sottolineare il valore dell'oggetto e del soggetto raffigurato.
Le immagini si formavano sulla lastra come riflesse, caratteristica che richiese l'adozione di alcuni accorgimenti per la composizione del dagherrotipo, come la sistemazione degli oggetti a destra per farli apparire a sinistra, oppure non includere del testo, per evitarne il capovolgimento. Nel 1840 Alexandre S. Wolcott inserì uno specchio concavo in fondo alla camera oscura, che riflettendo per la seconda volta l'immagine, ne restituisce il corretto posizionamento.

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